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The Waterlily Garden: per una food photography che restituisca complessità e vita al cibo

  • Immagine del redattore: Maria Bellotto
    Maria Bellotto
  • 17 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min

«Consideriamo il cibo soprattutto come nutrimento, ma è prima di tutto vita. È flora, materia complessa, bellezza, colore.»


Il cibo, prima di essere nutrimento, ingrediente, è materia viva. Ha volumi, strutture, una sua tensione interna. Muta, si trasforma. Nelle mani di Alek Pierre, fotografo e founder di NASO Creators, visual production studio, smette di appartenere alla cucina e torna a essere ciò che è sempre stato: natura.


In The Waterlily Garden, frutta e verdura diventano paesaggi organici, superfici liquide, microecosistemi sospesi tra attrazione e inquietudine. Un progetto che guarda il cibo come si guarda un corpo o un territorio, e che lo restituisce alla sua dimensione più primaria, guidato da quella che Pierre definisce un’ossessione per la luce e per le forme che è capace di generare.



È da lì che parte il suo sguardo: un’attenzione quasi intima verso ciò che la materia restituisce quando viene osservata senza l’urgenza di produrre immagini “utili”.


«Ho un’ossessione per la luce e per le forme che crea», spiega Pierre. È per questo che anche un semplice cachi può diventare soggetto di studio, se possiede una sua peculiarità: «molte immagini le scatto solo per me, senza l’intenzione di pubblicarle. Me le tengo, me le godo». Una tensione all’osservazione, alla contemplazione, quasi.


The Waterlily Garden prende forma nel momento in cui il gesto diventa scoperta. Manipolando gli ingredienti, capovolgendoli, aprendoli, accade qualcosa di imprevisto. Un cachi inciso e appoggiato su una colata di miele si disperde nel liquido, perde la sua funzione immediata e assume un’altra identità: «quando ho aperto il cachi sul miele, il contenuto si è disperso. Mi è sembrato subito un laghetto di ninfee».



Gli ingredienti fragili e quotidiani assumono una presenza organica, quasi acquatica, evocando stagni, superfici d’acqua e micro-paesaggi naturali: «consideriamo il cibo soprattutto come nutrimento, ma è prima di tutto vita. È flora, materia complessa, bellezza, colore». Le sue forme rivelano somiglianze inattese con il mondo animale: pelurie sottili, vene, polpe carnose, piccoli scheletri nascosti nei semi o nei rami. Riportare il cibo a questa dimensione significa sottrarlo alla sua funzione più immediata e restituirgli una presenza autonoma, viva, profondamente identitaria e valorizzante.


Le immagini oscillano così tra botanico, viscerale e anatomico. È un’ambiguità voluta, che nasce dal nostro modo di guardare il cibo. «Quando vedi un cachi non pensi al frutto che nasce da una pianta. Lo vedi come cibo. Appare come cachi, ma vedi solo l’alimento». Da questo cortocircuito emergono nuove letture: tra esteriorità e interiorità, funzione ed estetica, una trasformazione continua.


Dopo una prima intuizione iniziale, Pierre inizia a studiare le ninfee, osservandone colori, forme e dettagli. Poi torna al mercato, cercando ingredienti capaci di richiamarle: papaya, zucca, okra, miele, peperoncini. La scelta non è simbolica ma visiva, guidata da forme e cromie. La luce, infine, completa il paesaggio.


L’acqua, fil rouge del progetto, attraversa tutta la serie, che sia esplicita o solo suggerita. È la casa delle ninfee, ma anche uno spazio ambiguo, capace di attrarre e disturbare. «Non sai mai davvero cosa ci sia sotto la superficie». Ma come spiega Pierre, c’è anche un richiamo più profondo: l’ambiente acquatico come origine, come prima casa, grembo materno.


Per The Waterlily Garden, tutte le immagini sono realizzate interamente in camera, senza ricostruzioni digitali o intelligenza artificiale. L’attenzione è rivolta all’imperfezione, alla texture, a una tensione silenziosa che nasce dal contatto diretto con la materia. Il senso del tatto, il gesto del toccare, è centrale. «Per scrivere con la luce bisogna comprendere la materia. E per comprenderla devi toccarla». Usare tutti i sensi permette alla creatività di emergere in modo autentico: «le cose ci parlano, e un dialogo può essere anche solo tattile».



The Waterlily Garden costruisce così un ponte naturale tra arte, natura e gastronomia. Per Pierre non esiste una gerarchia: «non c’è designer più geniale della natura. La natura è arte. E una parte di quell’arte noi la mangiamo». Il cibo diventa linguaggio visivo, materia narrativa, strumento per interrogare il nostro rapporto con il vivente. E parte del suo fascino arriva anche dalla sua mutevolezza, come conclude Pierre. «Le fasi della vita sono tutte affascinanti. La bellezza è anche nella bruttezza. Il prossimo lavoro su cui sto lavorando spinge ancora di più su questa idea».


Il progetto nasce all’interno di NASO Creators, un contesto che alimenta la visione senza incanalarla. «Raccogliamo spunti, idee, storie. Siamo alla costante ricerca di qualcosa». Un processo fatto di entusiasmo, di immaginazione, di smontaggi ed eterni ritorni. Immagini che nascono da tutto ciò che attraversa chi le crea: un mestiere che racconta infinite storie.

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